Secondo quanto riporta lo storico greco Tucidide,
Siracusa venne fondata nell’VIII sec. a.C. dai colonizzatori greci, che arrivati sull’isoletta di Ortigia scacciarono i Siculi che prima l’abitavano. Il gruppo di coloni proveniva da Corinto ed era guidato da Archia (attorno al quale sorsero poi diverse leggende): come altri colonizzatori greci di quel periodo, essi erano spinti da motivi sia economici che politici e seguivano le rotte dei fenici, considerati nell’antichità i migliori navigatori.
Anche Ortigia rientrava nelle rotte dei Fenici, ma non costituiva per loro una destinazione importante, servendo a quanto pare come semplice scalo. I Greci scelsero subito lo scoglio di Ortigia per fondare la nuova colonia, probabilmente grazie sia all’ambiente naturale (nell’immediato entroterra sorgeva una palude che diede il nome alla città) che ai vantaggi che offriva il miglior porto della Sicilia orientale.
Purtroppo non sono note le vicende storiche successive, fino alla fine del VI sec. a.C. Ancora oggi Ortigia, che già in età greca era il centro storico della città, custodisce i monumenti più antichi e i santuari urbani di
Siracusa; da ricordare anche la presenza della fonte, divenuta famosa sin dall’antichità per la leggenda della ninfa Aretusa, che fu sicuramente determinante nella scelta di Ortigia da parte dei coloni corinzi.
I templi di
Siracusa presentano pianta rettangolare, caratterizzata dal prevalere della lunghezza sulla larghezza e colonne tozze, pesanti, con echini schiacciati e larghi: molti di questi templi, che ancor oggi caratterizzano la zona archeologica di
Siracusa e risalgono sia al periodo classico che a quello arcaico, furono trasformati successivamente in chiese a partire dall’età paleocristiana.
Di notevole interesse archeologico è il tempio di Apollo (da alcuni attribuito ad Artemide) risalente agli inizi del VI sec. a.C. : esso, i cui resti occupano gran parte dell’attuale Largo XXV Luglio, presenta le caratteristiche più arcaiche tra tutti i templi greci (almeno tra quelli che oggi conosciamo), ed è il più antico tra quelli conservati. È caratterizzato da colonne molto larghe e ravvicinate dai fusti massicci (caratteri tipicamente dorici): inoltre lo stilobate riporta un’iscrizione risalente all’epoca della fondazione con la dedica ad Apollo.
L’Apollonion riveste un’importanza fondamentale per ricostruire un tempio arcaico: lo stilobate del tempio mostra tre gradini e presenta sul lato orientale un’iscrizione che riporta il nome di un certo architetto Kleo()es; dallo stilobate si alza il colonnato periptero, con diciassette colonne sui lati lunghi e sei colonne sulla fronte, mentre una doppia fila di colonne più piccole (il cui compito era in origine quello di sorreggere il tetto) divide in tre navate la cella: quest’ultima presentava pianta assai allungata con pronao in antis preceduto da avamportico e vestibolo.
Alcuni caratteri di questo tempio si rifanno chiaramente alla tradizione corinzia: la presenza delle colonne monolitiche nel lato d’ingresso, l’inserimento della cella nel peristilio, la rinuncia alla disposizione diptera, la proporzione delle colonne e le strutture dei capitelli: questi ultimi sembrano riprendere il tempio di Apollo a Corinto (metà VI sec. a.C.). Gli intervalli diseguali degli intercolumni, l’arretramento della cella nella peristasis, la scala sulla fronte dei gradini e la presenza dell’adyton sono invece caratteri tipicamente siciliani, mentre si richiamano alla madrepatria la disposizione della cella a megaron e il piano del pronao, della cella e dell’adyton, non sopraelevato rispetto alla peristasis. La decorazione esterna del tempio era costituita dal fregio dorico, a sua volta coronato da terracotte policrome dipinte a fuoco che presentavano due elementi: gèison e sima (con goccialotoi tubolari nei lati lunghi). Le lastre di terracotta erano decorate con motivi e colori vivaci (bianco, rosso e nero), molto diffusi a loro volta nella ceramica corinzia. Da ricordare inoltre le sculture che abbellivano l’esterno del tempio di Apollo: sfingi bifronti, cavalieri e acroteri fittili, dalla durezza di modellato tipica dell’arte dorica, le cui radici sono da ricercare nell’arte cretese e in particolare nell’arte scultorea che prese il nome da Dedalo, il mitico creatore del Labirinto.